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GIOIOSA MAREA (Sicilia - Messina) - STORIA E DESCRIZIONE DELLA CITTA'

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Sospesa tra rocce e mare, in uno scenario di bellezze naturali unico per varietà e colori, sorge Gioiosa Marea, stazione balneare adagiata sul mare in una cornice di verde e d'azzurro. Il paese offre tra le più belle spiagge della costa tirrenica, come Capo Calavà, con le suggestive insenature e le granitiche rocce rosse che attorniate da secolari uliveti, scivolano a picco sul mare limpidissimo e portano lo sguardo all' orizzonte dove sono ben visibili le splendide Isole Eolie.
Le origini di Gioiosa risalgono al 1094 quando il conte Ruggero donò il feudo Meliuso al Monastero dei Benedettini di Patti.
Nel 1364 Vinciguerra d'Aragona - che aveva ottenuto dal re la Capitanìa di Patti - eresse sul territorio di Meliuso una torre di osservazione e di avvistamento che chiamò Oppidum Guardae Jojusae da cui derivò il toponimo Gioiosa.

LE ORIGINI
(Tratto dal sito ufficiale del Comune di Gioiosa Marea www.comune.gioiosamarea.me.it

Gioiosa Marea, per gli antichi colonizzatori romani dell’Isola, fu soltanto «Joiusa» e l’assonanza rimane nel dialetto e nell’uso parlato degli abitanti che, alludendo alla propria Città, dicono solo «Giuiusa». Non a caso, comunque. La storia, tanto più le date sono lontane, nascoste nella notte dei tempi e così gli avvenimenti, tanto più lascia tracce inconfondibili a saperle cercare nelle pietre, nei ruderi, nelle tradizioni e nei dialetti.
L’immaginoso nome di ridente Città lambita dall’azzurro flusso e riflusso delle acque del mare, Gioiosa Marea lo ha infatti acquisito molto più tardi dalla sua fondazione. Da appena due secoli, circa, dopo l’esodo verso la costa dalla vetta del Monte di Guardia, dove si stagliano al sole le rovine dell’antica Joiusa, senza tracce apparenti di preistoria e di veri e propri insediamenti di Età romana. A quanto pare, infatti, i colonizzatori romani dell’isola si limitarono a dare un nome all'amenità del «locus», che forse fu «oppidum», sicuro rifugio dalle scorrerie sulla costa e residenza di pochi quanto sparsi lavoratori dei campi che sul Monte di Guardia avevano ragione di vita.

La storia dell'antica Joiusa data intorno al 1360, coincidendo con la sua fondazione. E la data appare incontestabile, anche se molta documentazione storica si è di certo smarrita per eventi, calamità, cause diverse e le visure dei documenti ingialliti affidano molto più spesso al ricercatore le deduzioni logiche, le interpretazioni dalla citazione di eventi paralleli alla storia di questa antica comunità agricola, che non ebbe in sé rilevata importanza di accadimenti e che risultò in parte divisa da quella dei pescatori sulla costa.
Il carattere pacifico di questa comunità antica, dedita al lavoro dei campi. esclude del tutto ogni altra possibile incidenza di eventi che non fossero puri atti amministrativi o sulla potestà e legittimità di attribuzioni nel governo del territorio.

La preesistenza di insediamenti isolati sul Monte Meliuso appare confermata da diverse citazioni documentali e da prove indotte sul tipo di costruzioni rilevate. Sebbene, sia per lo meno confermato che nel territorio dell’attuale Gioiosa Marea si ebbero reiterati insediamenti, prima della lenta organizzazione dell’antica comunità contadina sul Monte Meliuso, e che quasi certamente permase un legame con le comunità dei pescatori insediate nella costa.
La comunità dei pescatori, attingendo le proprie risorse di vita dal mare, dovette resistere di più all’idea di abbandonare definitivamente le proprie case sulla costa. Anche, se in periodi di invasioni, saccheggi fu certamente costretta a rifugiarsi temporaneamente nell'entroterra e a sobbarcarsi a dure fatiche per scendere a riva le proprie attrezzature. Ma se pure vissero, questi pescatori, per lunghi periodi sui monti, certamente installarono nelle proprie case abbandonate gli attrezzi di modeste entità e più facilmente ricostruibili, in attesa del ritorno alla pace ed alla normalità, sperando di tornare, ogni volta, definitivamente sulla costa.
Nonostante questo continuo fuggire e tornare, da noi ipotizzato, rispetto al verificarsi di eventi bellici o di pace, possa apparire normale; forse lo è un po' meno, se si considera che questi pescatori si videro costretti a far scivolare sui tronchi di albero per chilometri di pendio le proprie barche verso il mare, ipotesi, questa, che suffraga la logica, non esistendo per la conformazione naturale e geomorfologica della costa
alcuna insenatura ovvero ripari naturali ricchi di vegetazione, tanto cari ai ricordi dei lungometraggi in technicolor della nostra era. E questa impervia fatica risulterà quanto mai attendibile, se si considera che, ad esempio, interi blocchi di marmo vennero scesi al piano quattro secoli e mezzo dopo la fondazione di Joiusa per ricostruire nell’attuale Città le antiche Chiese del Monte. E non solo esse.

L’odierna Gioiosa Marea che si distende sulla costa a pianoro e a dolci pendii verso il mare che invetria su tersi fondali, è sorta verso la fine del Settecento. Pur se in effetti riporta in mezzo al candore dei palazzetti Ottocento ed alla efficiente razionalità delle architetture recenti, murate grige, terrose, erose a vivo nella struttura di pietre e calce, con arcate di tipo mediterraneo in pietra bugnata che portano in sé infissa la data dei preesistenti insediamenti e dei materiali precedentemente impiegati nella costruzione della più antica Città. Lo sviluppo urbano li ha per fortuna inglobati e di certo salvati al totale decadimento, quasi col gusto spontaneo di una rivalutazione e di una continuità della storia. E per quanto tutte le città, si possa dire, conservino la testimonianza del passato nel proprio assetto urbanistico, tuttavia è raro, se non proprio eccezionale, che una città fondata e sviluppatasi in seguito ad un esodo protrattosi nel tempo, risulti poi costruita con le pietre, i materiali e la tecnica costruttiva della preesistente e secondo lo stesso disegno urbanistico dell’antica, che nel caso specifico arrocca i suoi ruderi sul Monte di Guardia, a ben 7 chilometri dalla costa.

L’antica Gioiosa sorgeva su di una vetta a pianoro, a 800 metri sul livello del mare, che consente di abbracciare nell’arco visuale di 360°: di fronte, le Isole di Vulcano, di Lipari, i dorsi a crinali delle cime ventose delle altre Isole Eolie; poi, su entrambi i lati del fronte costiero, sin’oltre Capo d’Orlando (a sinistra) e Capo Milazzo (a destra); alle spalle, i Monti Nebrodi e l’Etna. E questa vetta sulla costa gaia del messinese, che domina sin’oltre il versante Nord-Occidentale dell’Isola, dovette avere per certo rilevanza strategica nel quadro degli avvenimenti del periodo greco-romano ed altresì nei precedenti periodi storici. Ma di certo non è il caso, bensì la storia che permane nella tradizione, se a questo proposito si riporta l’aggiunta in «vulgare» al più antico nome latino: «Joiusa Guardia» o «Gioiosa Guardia».

L’accesso ai ruderi odierni si rende ancor oggi meno che agevole per la stradella, in parte asfaltata, e che impenna ad un tratto in ripida china, facilmente difendibile in caso d’attacco. E ciò induce ad avvalorare l’ipotesi dell’oppidum, di un posto di osservazione, che favorì nel tempo gli insediamenti d’intorno, intensivi e tanto più necessari per le popolazioni della costa, in seguito ai continui e ben noti saccheggi dei pirati; nonostante la costa, per il clima ancora più mite, per la natura del terreno e l’abbondante presenza dell’acqua, garantisse più facili condizioni di vita.

A Gioiosa Guardia l’inesistenza di risorse idriche non doveva certo rendere agevoli le condizioni di vita, dipendendo, per il vitale elemento, dall’andamento pluviale, come dimostrano le cisterne interrate, vicino a quelle che furono case.

L’irradiarsi dei ruderi intorno alla fortificazione, oggi in gran parte diruta e composta dai resti di una torre e di un muraglione, pare confermare l’ipotesi e la tendenza di una struttura urbanistica che, in epoca successiva, poi si ripeterà intorno alle Chiese con la nascita delle odierne Contrade a corolla di Gioiosa Marea

Il disegno urbanistico dell’antica Città, eguale a quello riportato di pari nell’odierna Gioiosa Marea, evidenzia la suddivisione in quattro quartieri: 5. Nicolò, Madonna delle Grazie, Catena, San Giovanni Battista.

Le vie strette, certamente con pavimentazione al naturale, rispecchiano il carattere della popolazione quasi esclusivamente dedita ai campi ed ai piccoli opifici artigianali per la produzione dei beni di consumo locali. Infatti, non sembra che, per la sfavorevole posizione e nonostante le tre strade di comunicazione con l’entroterra, Gioiosa Guardia fosse un centro di commerci.

La divisione in quattro quartieri si diramava su di un asse viario, piuttosto largo per i tempi, che attraversava l’antica Città per sboccare su una piazzetta circolare, dove si presume potesse ubicarsi il castello di Vinciguerra.

Tre strade collegavano il paese con l’entroterra: « Scaletta » in direzione di Marina di Patti; « Mali Passi » verso Randazzo; la « Strada Regia » di Calavà, che portava all’omonimo Capo Calavà, dove sorgeva una Torre.

Una più approfondita osservazione del tessuto urbanistico consente di rilevare l’esistenza, come abbiamo detto, di cisterne interrate e no, di varia grandezza e costruzione in prossimità delle preesistenti abitazioni, di quello che fu il Convento dei Frati Minori, dove tuttora esiste una cisterna edificata ad arcate, ed accanto alla Chiesa del Giardino; ma soprattutto consente di rilevare il costante collegamento fra sistemi e materiali costruttivi che si ritrova in taluni più antichi edifici della odierna Gioiosa Marea.

Il metodo di costruzione è caratterizzato dall’uso di pietre e di calce frammista ad una particolare sabbia di cava, in gergo chiamata « ripiddu », per l’innalzamento dei muri maestri, mentre per l’elevazione dei tetti erano impiegate travi in legno e tegole.

La presenza di frammenti di coccio e di laterizi mischiati fra le pietre emergenti con l’impasto conglomeratizio dalle rovine, induce alla considerazione che Gioiosa Guardia sia stata edificata in buona parte su costruzioni preesistenti. Questo dato, peraltro, si evince dall’osservazione dei ruderi della Zona Nord-Ovest dell’antica Città, che certamente fu ricostruita tutta nello stesso periodo.

L’impasto dei frammenti di laterizi ed in particolare il ritrovamento di coccio smaltato permette di datare la costruzione al tardo Medioevo (sec. XV-XVI), in considerazione del fatto che la tecnica d’impasto e dello smalto del coccio rinvenuto non può che risalire a detta epoca.

L’Amministrazione civica di Gioiosa Guardia risulta, dai documenti storici, affidata ai Giudici che con il Sindaco costituivano la rappresentanza sovrana, ma, con « a latere » e compiti propri nella qualità, prima di due e poi di tre Giurati eletti dal Vescovo di Patti.

Le decisioni della Pubblica Amministrazione venivano prese in sede di Pubblico Consiglio della Città nei giorni di festa e con l’intervento dei cittadini. Ma il diritto di voto sulle decisioni spettava al Capitano della Città, ai Giurati nonché ai Consulenti nominati a vita. Però le deliberazioni assumevano il crisma della legittimità e potevano applicarsi dopo l’approvazione formale del Viceré e del Tribunale del Real Patrimonio. Tuttavia, spettava poi al Visore Regio il compito di controllare la spesa della Civica Amministrazione e, rilevandosi inesattezze o disavanzi, di obbligare i Giudici al risarcimento.

Il Sindaco, eletto dal Pubblico Consiglio, rimaneva in carica tre anni. Ma i suoi compiti erano limitati al controllo ed alla difesa degli interessi della Civica Amministrazione, quale procuratore naturale e senza tuttavia aver alcun potere sui Giurati che assolvevano le proprie funzioni sotto la diretta sorveglianza del Visore Regio. Le funzioni di Sindaco, insomma, restavano alquanto delimitate e non esorbitavano, in nessun- caso, da quelle di un patrocinatore dei pubblici funzionari, di consigliere morale e di procuratore del popolo e pur sempre sotto il profilo delle pure istanze generali.

La decadenza e soprattutto l’abbandono di Gioiosa Guardia venne a determinarsi in seguito a reiterate calamità naturali verificatesi fra la seconda metà del Sec. XVII e la prima metà del Sec. XVIII.

Il 5 febbraio 1783 l’antica Città fu gravemente distrutta da un terremoto di notevole intensità, che era il quarto in appena mezzo secolo. Mentre l’anno successivo, il 1784, grandi invasioni di cavallette distrussero il raccolto, provocando una grave e penosa carestia.

La popolazione, di certo, provata da dolorose perdite, esausta ed atterrita dai frequenti fenomeni sismici che presumibilmente sconvolsero la costituzione geomorfologica del territorio in conseguenza di smottamenti e di frane, alla fine decise, per consiglio dei più anziani e dei rappresentanti più evoluti della Civica Amministrazione, di ricostruire Gioiosa sulla costa. Però, l’esodo dalla antica Gioiosa Guardia si verificò nell’arco di vent’anni e fra non poche resistenze da parte di autorità preposte e di cittadini. E forse questo fatto, incontestato, potrebbe spiegare la ricostruzione della Zona Nord-Ovest dell’antica Città, come atto di speranza e di sentimentale legame con le proprie origini e la terra natia.

(da GIOIOSA MAREA - Storia Note Immagini, Comune di Gioiosa Marea, 1980)

LA STORIA
(Tratto dal sito ufficiale del Comune di Gioiosa Marea www.comune.gioiosamarea.me.it

Gioiosa Marea, per gli antichi colonizzatori romani dell’Isola, fu soltanto «Joiusa» e l’assonanza rimane nel dialetto e nell’uso parlato degli abitanti che, alludendo alla propria Città, dicono solo «Giuiusa». Non a caso, comunque. La storia, tanto più le date sono lontane, nascoste nella notte dei tempi e così gli avvenimenti, tanto più lascia tracce inconfondibili a saperle cercare nelle pietre, nei ruderi, nelle tradizioni e nei dialetti.

L’immaginoso nome di ridente Città lambita dall’azzurro flusso e riflusso delle acque del mare, Gioiosa Marea lo ha infatti acquisito molto più tardi dalla sua fondazione. Da appena due secoli, circa, dopo l’esodo verso la costa dalla vetta del Monte di Guardia, dove si stagliano al sole le rovine dell’antica Joiusa, senza tracce apparenti di preistoria e di veri e propri insediamenti di Età romana. A quanto pare, infatti, i colonizzatori romani dell’isola si limitarono a dare un nome all'amenità del «locus», che forse fu «oppidum», sicuro rifugio dalle scorrerie sulla costa e residenza di pochi quanto sparsi lavoratori dei campi che sul Monte di Guardia avevano ragione di vita.

La storia dell'antica Joiusa data intorno al 1360, coincidendo con la sua fondazione. E la data appare incontestabile, anche se molta documentazione storica si è di certo smarrita per eventi, calamità, cause diverse e le visure dei documenti ingialliti affidano molto più spesso al ricercatore le deduzioni logiche, le interpretazioni dalla citazione di eventi paralleli alla storia di questa antica comunità agricola, che non ebbe in sé rilevata importanza di accadimenti e che risultò in parte divisa da quella dei pescatori sulla costa.

Il carattere pacifico di questa comunità antica, dedita al lavoro dei campi. esclude del tutto ogni altra possibile incidenza di eventi che non fossero puri atti amministrativi o sulla potestà e legittimità di attribuzioni nel governo del territorio.

La preesistenza di insediamenti isolati sul Monte Meliuso appare confermata da diverse citazioni documentali e da prove indotte sul tipo di costruzioni rilevate. Sebbene, sia per lo meno confermato che nel territorio dell’attuale Gioiosa Marea si ebbero reiterati insediamenti, prima della lenta organizzazione dell’antica comunità contadina sul Monte Meliuso, e che quasi certamente permase un legame con le comunità dei pescatori insediate nella costa.

La comunità dei pescatori, attingendo le proprie risorse di vita dal mare, dovette resistere di più all’idea di abbandonare definitivamente le proprie case sulla costa. Anche, se in periodi di invasioni, saccheggi fu certamente costretta a rifugiarsi temporaneamente nell'entroterra e a sobbarcarsi a dure fatiche per scendere a riva le proprie attrezzature. Ma se pure vissero, questi pescatori, per lunghi periodi sui monti, certamente installarono nelle proprie case abbandonate gli attrezzi di modeste entità e più facilmente ricostruibili, in attesa del ritorno alla pace ed alla normalità, sperando di tornare, ogni volta, definitivamente sulla costa.

Nonostante questo continuo fuggire e tornare, da noi ipotizzato, rispetto al verificarsi di eventi bellici o di pace, possa apparire normale; forse lo è un po' meno, se si considera che questi pescatori si videro costretti a far scivolare sui tronchi di albero per chilometri di pendio le proprie barche verso il mare, ipotesi, questa, che suffraga la logica, non esistendo per la conformazione naturale e geomorfologica della costa alcuna insenatura ovvero ripari naturali ricchi di vegetazione, tanto cari ai ricordi dei lungometraggi in technicolor della nostra era. E questa impervia fatica risulterà quanto mai attendibile, se si considera che, ad esempio, interi blocchi di marmo vennero scesi al piano quattro secoli e mezzo dopo la fondazione di Joiusa per ricostruire nell’attuale Città le antiche Chiese del Monte. E non solo esse.

L’odierna Gioiosa Marea che si distende sulla costa a pianoro e a dolci pendii verso il mare che invetria su tersi fondali, è sorta verso la fine del Settecento. Pur se in effetti riporta in mezzo al candore dei palazzetti Ottocento ed alla efficiente razionalità delle architetture recenti, murate grige, terrose, erose a vivo nella struttura di pietre e calce, con arcate di tipo mediterraneo in pietra bugnata che portano in sé infissa la data dei preesistenti insediamenti e dei materiali precedentemente impiegati nella costruzione della più antica Città. Lo sviluppo urbano li ha per fortuna inglobati e di certo salvati al totale decadimento, quasi col gusto spontaneo di una rivalutazione e di una continuità della storia. E per quanto tutte le città, si possa dire, conservino la testimonianza del passato nel proprio assetto urbanistico, tuttavia è raro, se non proprio eccezionale, che una città fondata e sviluppatasi in seguito ad un esodo protrattosi nel tempo, risulti poi costruita con le pietre, i materiali e la tecnica costruttiva della preesistente e secondo lo stesso disegno urbanistico dell’antica, che nel caso specifico arrocca i suoi ruderi sul Monte di Guardia, a ben 7 chilometri dalla costa.

L’antica Gioiosa sorgeva su di una vetta a pianoro, a 800 metri sul livello del mare, che consente di abbracciare nell’arco visuale di 360°: di fronte, le Isole di Vulcano, di Lipari, i dorsi a crinali delle cime ventose delle altre Isole Eolie; poi, su entrambi i lati del fronte costiero, sin’oltre Capo d’Orlando (a sinistra) e Capo Milazzo (a destra); alle spalle, i Monti Nebrodi e l’Etna. E questa vetta sulla costa gaia del messinese, che domina sin’oltre il versante Nord-Occidentale dell’Isola, dovette avere per certo rilevanza strategica nel quadro degli avvenimenti del periodo greco-romano ed altresì nei precedenti periodi storici. Ma di certo non è il caso, bensì la storia che permane nella tradizione, se a questo proposito si riporta l’aggiunta in «vulgare» al più antico nome latino: «Joiusa Guardia» o «Gioiosa Guardia».

L’accesso ai ruderi odierni si rende ancor oggi meno che agevole per la stradella, in parte asfaltata, e che impenna ad un tratto in ripida china, facilmente difendibile in caso d’attacco. E ciò induce ad avvalorare l’ipotesi dell’oppidum, di un posto di osservazione, che favorì nel tempo gli insediamenti d’intorno, intensivi e tanto più necessari per le popolazioni della costa, in seguito ai continui e ben noti saccheggi dei pirati; nonostante la costa, per il clima ancora più mite, per la natura del terreno e l’abbondante presenza dell’acqua, garantisse più facili condizioni di vita.

A Gioiosa Guardia l’inesistenza di risorse idriche non doveva certo rendere agevoli le condizioni di vita, dipendendo, per il vitale elemento, dall’andamento pluviale, come dimostrano le cisterne interrate, vicino a quelle che furono case.

L’irradiarsi dei ruderi intorno alla fortificazione, oggi in gran parte diruta e composta dai resti di una torre e di un muraglione, pare confermare l’ipotesi e la tendenza di una struttura urbanistica che, in epoca successiva, poi si ripeterà intorno alle Chiese con la nascita delle odierne Contrade a corolla di Gioiosa Marea.

Il disegno urbanistico dell’antica Città, eguale a quello riportato di pari nell’odierna Gioiosa Marea, evidenzia la suddivisione in quattro quartieri: 5. Nicolò, Madonna delle Grazie, Catena, San Giovanni Battista.

Le vie strette, certamente con pavimentazione al naturale, rispecchiano il carattere della popolazione quasi esclusivamente dedita ai campi ed ai piccoli opifici artigianali per la produzione dei beni di consumo locali. Infatti, non sembra che, per la sfavorevole posizione e nonostante le tre strade di comunicazione con l’entroterra, Gioiosa Guardia fosse un centro di commerci.

La divisione in quattro quartieri si diramava su di un asse viario, piuttosto largo per i tempi, che attraversava l’antica Città per sboccare su una piazzetta circolare, dove si presume potesse ubicarsi il castello di Vinciguerra.

Tre strade collegavano il paese con l’entroterra: « Scaletta » in direzione di Marina di Patti; « Mali Passi » verso Randazzo; la « Strada Regia » di Calavà, che portava all’omonimo Capo Calavà, dove sorgeva una Torre.

Una più approfondita osservazione del tessuto urbanistico consente di rilevare l’esistenza, come abbiamo detto, di cisterne interrate e no, di varia grandezza e costruzione in prossimità delle preesistenti abitazioni, di quello che fu il Convento dei Frati Minori, dove tuttora esiste una cisterna edificata ad arcate, ed accanto alla Chiesa del Giardino; ma soprattutto consente di rilevare il costante collegamento fra sistemi e materiali costruttivi che si ritrova in taluni più antichi edifici della odierna Gioiosa Marea.

Il metodo di costruzione è caratterizzato dall’uso di pietre e di calce frammista ad una particolare sabbia di cava, in gergo chiamata « ripiddu », per l’innalzamento dei muri maestri, mentre per l’elevazione dei tetti erano impiegate travi in legno e tegole.

La presenza di frammenti di coccio e di laterizi mischiati fra le pietre emergenti con l’impasto conglomeratizio dalle rovine, induce alla considerazione che Gioiosa Guardia sia stata edificata in buona parte su costruzioni preesistenti. Questo dato, peraltro, si evince dall’osservazione dei ruderi della Zona Nord-Ovest dell’antica Città, che certamente fu ricostruita tutta nello stesso periodo.

L’impasto dei frammenti di laterizi ed in particolare il ritrovamento di coccio smaltato permette di datare la costruzione al tardo Medioevo (sec. XV-XVI), in considerazione del fatto che la tecnica d’impasto e dello smalto del coccio rinvenuto non può che risalire a detta epoca.

L’Amministrazione civica di Gioiosa Guardia risulta, dai documenti storici, affidata ai Giudici che con il Sindaco costituivano la rappresentanza sovrana, ma, con « a latere » e compiti propri nella qualità, prima di due e poi di tre Giurati eletti dal Vescovo di Patti.

Le decisioni della Pubblica Amministrazione venivano prese in sede di Pubblico Consiglio della Città nei giorni di festa e con l’intervento dei cittadini. Ma il diritto di voto sulle decisioni spettava al Capitano della Città, ai Giurati nonché ai Consulenti nominati a vita. Però le deliberazioni assumevano il crisma della legittimità e potevano applicarsi dopo l’approvazione formale del Viceré e del Tribunale del Real Patrimonio. Tuttavia, spettava poi al Visore Regio il compito di controllare la spesa della Civica Amministrazione e, rilevandosi inesattezze o disavanzi, di obbligare i Giudici al risarcimento.

Il Sindaco, eletto dal Pubblico Consiglio, rimaneva in carica tre anni. Ma i suoi compiti erano limitati al controllo ed alla difesa degli interessi della Civica Amministrazione, quale procuratore naturale e senza tuttavia aver alcun potere sui Giurati che assolvevano le proprie funzioni sotto la diretta sorveglianza del Visore Regio. Le funzioni di Sindaco, insomma, restavano alquanto delimitate e non esorbitavano, in nessun- caso, da quelle di un patrocinatore dei pubblici funzionari, di consigliere morale e di procuratore del popolo e pur sempre sotto il profilo delle pure istanze generali.

La decadenza e soprattutto l’abbandono di Gioiosa Guardia venne a determinarsi in seguito a reiterate calamità naturali verificatesi fra la seconda metà del Sec. XVII e la prima metà del Sec. XVIII.

Il 5 febbraio 1783 l’antica Città fu gravemente distrutta da un terremoto di notevole intensità, che era il quarto in appena mezzo secolo. Mentre l’anno successivo, il 1784, grandi invasioni di cavallette distrussero il raccolto, provocando una grave e penosa carestia.

La popolazione, di certo, provata da dolorose perdite, esausta ed atterrita dai frequenti fenomeni sismici che presumibilmente sconvolsero la costituzione geomorfologica del territorio in conseguenza di smottamenti e di frane, alla fine decise, per consiglio dei più anziani e dei rappresentanti più evoluti della Civica Amministrazione, di ricostruire Gioiosa sulla costa. Però, l’esodo dalla antica Gioiosa Guardia si verificò nell’arco di vent’anni e fra non poche resistenze da parte di autorità preposte e di cittadini. E forse questo fatto, incontestato, potrebbe spiegare la ricostruzione della Zona Nord-Ovest dell’antica Città, come atto di speranza e di sentimentale legame con le proprie origini e la terra natia.

(da GIOIOSA MAREA - Storia Note Immagini, Comune di Gioiosa Marea, 1980)

LE FESTE

Per la Comunità gioiosana, le feste sono un gesto corale che mantiene viva una tradizione e permette ad una cultura di permanere nel tempo. Seguiamone lo svolgimento secondo il calendario che ne segna l’inizio con la primavera.

Le feste di Pasqua, non susciti meraviglia il plurale, non assumono alcun carattere particolare a Gioiosa Marea ed hanno molto in comune con quelle che si celebrano in tutta l’Isola: la visita ai Santi Sepolcri il Giovedì di Passione, a lume di torce, la mesta processione del Venerdì Santo, «a sciugghiuta d’a gloria» del Sabato Santo, con i relativi spari e «botti»; le solenne Messe della Domenica di Pasqua; «a baciata d’a manu o patrozzu»; l'immancabile gita del Lunedì di Pasqua.

Ma c’è un fatto particolare che caratterizza il giorno di Pasqua e cioè una brevissima processione dei simulacri della Madonna delle Grazie e di San Giuseppe, dalla Chiesa di Santa Maria fino alla Matrice, processione che poi si ripeterà, in senso inverso e per un percorso un po' più lungo, il giorno dell’Ottava di Pasqua quando, assieme al simulacro di San Nicolò, le due statue verranno riaccompagnate fino alla loro Chiesa, prima che il Santo Protettore inizi la sua lunga passeggiata per Gioiosa - come ora vedremo.

Non è facile trovare l’origine di questa antica usanza. Qualcuno la fa risalire ai tempi lontani dell’ antica Gioiosa dandone un significato di «scambio di visite tra Collegiate», altri, invece, danno un significato più ampio di coinvolgimento nella festa di un quartiere verso l’altro. Qualunque sia l’origine, però, non si può non pensare ad una cordiale reciproca secolare considerazione fra i due quartieri cittadini più importanti: quello di San Nicolò e quello di Santa Maria.

L'Ottava di Pasqua, che si celebra appunto otto giorni dopo la Pasqua, è storicamente la festa più importante perché ricorda in maniera ben precisa, se andiamo a ricercare i modi di svolgimento fino a qualche anno fa, il trasferimento del Paese dal Monte di Guardia al piano. Le comunità delle Contrade Gioiosane scendono in processione, con in testa il Parroco preceduto dai «Virgineddi», bambini d’età compresa tra i quattro e sei anni, ricoperti di «vistineddi» cariche d’oro e con in testa un diadema, anch’esso pesante d'ori; i «Virgineddi» reggono in mano il calice più importante di cui è dotata la Chiesa.

I paramenti dei «Virgineddi» vengono predisposti di volta in volta dai familiari che hanno fatto voto per grazia ricevuta. In quest’occasione tutti i componenti della famiglia e della Comunità contribuiscono all’ allestimento della veste con ori e preziosi, concessi in prestito con generosa sollecitudine, per arricchirla quanto più è possibile a simbolo anche di un certo prestigio della contrada.

Il personaggio più rappresentativo della contrada regge il Crocifisso, talvolta molto pesante, fino all’ingresso in Paese, dove lo consegna al Parroco che lo porterà fin dentro alla Chiesa Madre.

La banda accompagna dall’ingresso in Paese fino alla Chiesa Madre le processioni delle contrade.

A mezzogiorno, dopo la solenne Messa cantata, la processione percorre quasi tutte le vie del centro cittadino procedendo fin’oltre i confini del comune, in territorio di Piraino, a Zappardino per la precisione, per ritornare sulla spiaggia di Gioiosa dove ha luogo la Benedizione del mare.

Il privilegio di portare a spalla la «Vara» del Santo Protettore, San Nicola, è prenotato addirittura settimane prima, legando il fazzoletto con un nodo ad una delle aste. Tuttavia, appena la processione raggiunge la metà del ponte Zappardino, per entrare in territorio di Piraino, gli abitanti della zona reclamano immancabilmente il privilegio di portare la «Vara» fino al centro del loro borgo. Richiesta che da sempre viene decisamente negata e che dà origine a rituali risse.

L 'Ascensione, festa che oggi passa inosservata, un tempo era molto sentita e dava spunto a rituali del tutto particolari ed identici tra gli abitanti della marina e quelli della campagna, quale appunto quello di bagnarsi nell’acqua del mare in senso di purificazione. L’usanza era molto più sentita dai pescatori che andavano a mare per ottenere dall’acqua, idealmente toccata quel giorno dal Cristo asceso in cielo, la liberazione da ogni residuo di colpa, di peccato o di contaminazione. Il gesto poteva benissimo assumere un significato ancestrale di manifesta devozione al «grande padre mare», che teneva tra le sue onde il loro destino nel bene e nel male.

In campagna, invece, l'Ascensione assumeva dei toni più elegiaci. Ogni contadino esponeva la sera prima un recipiente d’acqua «o sirinu» ,all’aria aperta, per tutta la notte e l’indomani spargeva quest’ acqua ,anche questa idealmente toccata dal Cristo asceso nei cieli, per i campi e sugli animali, con chiari intenti propiziatori, originati da una religiosità lontana nella notte dei secoli.

Il Corpus Domini è invece una festa più «esplosiva». La natura è nel suo pieno rigoglio ed offre abbondanti fiori, ginestre, glicini, biancospini, con i quali si addobbano gli «altarini» che saranno visitati, uno al giorno per tutta la settimana, dalla processione del Santissimo preceduta dai bambini, che hanno ricevuto la loro prima Comunione, vestiti di bianco.

In questo periodo si vive in pieno la «coralità» della festa: si fa a gara per offrire le trine e i merletti più preziosi da inserire sull’«altarino»; si fa a gara per allestire l’«altarino» con gli arazzi e le coperte più ricche, si corre insieme a raccogliere i fiori in campagna; si studia, insieme, il disegno e la confezione dei tappeti di fiori da mettere davanti all'«altarino»; infine si fa a gara fra i quartieri per l’allestimento dell’«altarino» più bello e per la migliore festa rionale.

Famose le feste organizzate, fino a qualche anno fa, nel rione Marina e nel rione Calvario quando un tripudio di luci, di musica, di giochi popolari sottolineava il vivere intensamente le feste di comunità nel significato più autentico.

Le Feste delle contrade seguivano in calendario con una caratterizzazione più propria di «unicità», per lo sfarzo di colore e di fantasia spontanea che arricchiva la Chiesa, le case, le strade campestri ed il verde, ma anche per l’assoluta generosità della gente.

A Casale, in particolare, si illuminava la piazzetta antistante la Chiesa di Maria Santissima della Visitazione con le lampare dei pescatori e si arredava la Chiesa stessa con enormi «rasti» di verdissimo basilico amorevolmente coltivato ed infiocchettato di rosso dalle ragazze della contrada.

Queste feste costituivano un deciso richiamo per gli abitanti del centro, per una gita in campagna, «santificata» pantagruelicamente assieme agli amici «ccu maccarruna, carni, ‘nfurnata e u vinu giustu» delle colline gioiosane.

Il Ferragosto a Gioiosa è la festa più grossa: «Menzaustu»! È difficile poterne indicare le origini che vanno decisamente ricercate nel concetto di «Festa d’Estate». Certamente occasione per ritrovarsi ogni anno insieme.

Durante i tre giorni della metà di Agosto, il 14 di vigilia, il 15 dedicato alla Madonna delle Grazie ed il 16 a San Rocco, il paese si riempiva di suoni, colori, bancarelle e di contadini che scendevano dalle campagne per acquistare suppellettili ed utensili dai numerosi «firianti», venditori ambulanti, convenuti da ogni parte dell’Isola.

La mattina del 14 Agosto si annunziava l’inizio della festa con una prolungata «masculiata»; frattanto, «i firianti» andavano occupando con le bancarelle i posti «strategici» della festa. Appena calata la sera, le campagne sui colli intorno a Gioiosa pullulavano di luminarie.

In un cantone fra via Mazzini e via Vittorio Emanuele, proprio vicino alla casa di don Natale Terranova, per la festa di Ferragosto si piazzava «don Luigi» con la sua roulette, che col suo incoraggiante invito di «ccu deci liritti ducentu lirazzi!» faceva piovere i nichelini sonanti sul tappeto verde. Di fronte, stazionava l’ombrellone della «nnivinavintura», maga indovina, che per pochi spiccioli propinava buoni auguri e accorti consigli, sempre gli stessi.

A sera, in piazza Municipio, le sinfonie delle migliori bande, impegnatissime nel gareggiare e nel figurare proprio nel paese del più famoso corpo musicale dell’Isola.

Durante gli intervalli, gran ressa davanti al banco del «gazosaro» ed ai pozzetti dei gelati portati fino in piazza dagli ottimi gelatai gioiosani e davanti alla «bancarella» della «calia» di Mastru Vasili u nasitanu. Alla fine, banda in testa, ed al suono della «vecchia ‘nsipita», si andava alla spiaggia per assistere «o iocu focu», giochi d’artificio.

Abbiamo voluto ricostruire, attraverso testimonianze dirette di anziani, questa festa che, fino a qualche decennio addietro, aveva mantenuto immutate le caratteristiche di sempre.

Oggi questo concetto di festa si è notevolnzente mutato da fatto corale e squisitamente «comunitario» a fruizione turistica predisposta da alcuni e consumata da altri.

Manifestazioni sportive, teatrali, musicali, sono distribuite ora durante tutto il periodo estivo per la gioia non solo dei gioiosani ma anche delle decine di migliaia di turisti presenti in quel periodo in tutto il territorio.

A questo punto l’estate finisce. «Austu e riustu è capu d’invernu». Si ritorna al lavoro e si pensa all’autunno ed all’incombente inverno. Si ha poco tempo per le feste. Si arriva a Natale.

Il Natale non offre delle note caratteristiche nel nostro Paese, se si vuole prescindere dalle sveglie mattutine per la Santa Novena, dagli altari ornati di arance, dai «pizzatuna» con le nocciole (oggi purtroppo scomparsi e sostituiti I, dal più «commerciale» panettone). Così si arriva a Capodanno, all’Epifania e Febbraio segna con i suoi primi giorni la fine di tutte le feste secondo questa antica filastrocca:
A li unu la Frivalora
a li dui la Cannalora
a li tri San Brasi ancora
a li quattru è Sant'Ajti
ziticeddi filati filati
ca li festi su passati.
(da GIOIOSA MAREA - Storia Note Immagini, Comune di Gioiosa Marea, 1980)

EVENTI ANNUALI

a) Carnevale di Gioiosa Marea
b)
Riti della Settimana Santa;
c) Festa patronale di S. Nicola di Bari (6 dicembre).

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